lunedì 31 ottobre 2016

Day of the dead - molto meglio delle fotocopie

perché l’amore, l’amicizia, la musica, l’arte vincono anche la morte.


Dal libro Day of the dead


 di Sara Walsh, Logos


e per amore della sfida, perché avremmo certo potuto colorare gli originali, ma quanto è più bello realizzare le proprie opere d'arte semplicemente copiando, e non fotocopiando?



































venerdì 28 ottobre 2016

Frida e Diego Una favola messicana



Cerco sempre di essere molto sincera con i miei ragazzi, e quindi non è certo un mistero il fatto che io non ami Halloween e, con esso, tutte quelle ricorrenze che negli anni si sono svuotate di significato per assumerne sempre più uno solo: quello commerciale.

Quest’anno, però, il nostro progetto Dalle radici alla Terra ci ha accompagnato fin dalle prime settimane alla scoperta di nuovi popoli, delle loro culture e delle tradizioni.
Così, non mi sono fatta sfuggire l’occasione di leggere ai ragazzi

Frida e Diego
Una favola messicana


di Fabian Negrin, Gallucci


(qui l'imperdibile recensione di Elisabetta Cremaschi su Gavroche)

e di riflettere con loro sui suoi contenuti realistici e fantastici, sulla nostra Festa dei Morti e sulle consuetudini che la accompagnano.

Naturalmente, abbiamo parlato di Frida Kahlo e Diego Rivera, in attesa di conoscerli come artisti.





Come incomincia:

Messico, primo di novembre di un anno qualunque, il Giorno dei Morti è arrivato.

L’incarico toccato a Frida nei preparativi per la festa è semplice, provvedere alle calaveritas de azùcar, i dolci a forma di teschio. Senza i teschi di zucchero che Festa dei Morti sarebbe?
Dentro il negozio di dolci, Frida incrocia Diego. Il suo fidanzato sta andando via con le guance gonfie di leccornie. Tra i denti sporge un impertinente teschietto azzurro.
-Ciao, Diego.
-Mmmmh – risponde lui.
-Questa sera vieni anche tu al cimitero?
-Mmmmh.
-Allora a dopo – saluta lei.
-Mmmmh – si congeda lui senza smettere di rosicchiare il dolce.

NEGRIN F., Frida e Diego Una favola messicana, Gallucci

giovedì 27 ottobre 2016

Sbagliare, e chiedere perdono, ovvero Siamo qui, e proviamo a camminare sulla terra


Quanta sofferenza genera il sentirsi inadeguati, incapaci, e di conseguenza in colpa per i propri comportamenti?

Sapevo già quanta forza avesse in sé la poesia di Silvia Vecchini


Fare un errore
non c’è niente di male
fare un errore è normale
tutti lo sanno che a tutti
può capitare
ma non c’è niente di peggio
che aspettare, per fare il tuo errore,
di essere te quello scelto a tirare
il calcio di rigore.

Silvia Vecchini, Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno, Topipittori






rielaborata da molti dei miei ragazzi


Fare un errore
non c’è niente di male
nel fare un errore,
però non c’è niente
che ti torturi come
sbagliare qualcosa
che sai fare bene




Fare un errore  
è stato un disastro
ma sono gli errori
che ci rendono noi stessi
che ci rendono umani.



così come la Rima contro se stessi di Bruno Tognolini


Io lo sapevo che era sbagliato
Perché l’ho fatto?
Che lì c’è un buio, dove io cado
Perché ci vado?
Come si può essere così tonti?
Dove si va quando si è così fessi?
Come si fa a dare pugni a se stessi?
Io non ci riesco a darmi dei pugni
Ma è anche stupido che ora mi lagni
Meglio dei pugni c’è un’altra cosa
Chiedere scusa
Chiederai scusa, brutto buffone
Dirai che tu non avevi ragione
Chiederai scusa, subito e adesso
Prima di tutto a chi hai ferito
E quando hai finito
Chiederai scusa a te stesso

Bruno Tognolini, Rime di rabbia, Salani


 


utilizzate entrambe, due giorni fa, durante l'incontro poetico con i ragazzi di terza.


Ma non avevo ancora letto ad alta voce le due pagine che da qualche settimana continuano a risuonare dentro di me.
Sapevo che sarebbe stata una lettura difficile, come sempre accade quando si sceglie di dare voce a parole sublimi; non immaginavo quanto.





Non smettere di volermi bene
dal Salmo 51
Non smettere di volermi bene, non smettere mai
nemmeno quando ti faccio arrabbiare
Ho sbagliato
sapevo che non era da fare
l’ho fatto lo stesso
L’ho fatto apposta, lo so
volevo vederti perdere la pazienza
farti infuriare, farti dispetto
Non capisco che cosa mi succede, a volte
so che è sbagliato
me l’hai detto e ridetto, che è sbagliato
Ma io lo faccio lo stesso
Con pazienza mi insegni
quello che è giusto e quello che non lo è
E proprio questo io faccio
quello che non è giusto
Non posso farne a meno, è più forte di me
non sono solo io a fare così, anche gli altri lo fanno
Ma adesso è di me che voglio parlarti
Mi hai insegnato a essere sincero
chi è sincero è buono, dici sempre
Mi hai insegnato a non aver paura di quello che sono
a non nascondermi
Vieni a cercarmi, trovami
e non dirmi che non ti fidi più di me
Fammi tornare a essere contento
Non occuparti di me solo quando sbaglio
dimentica i miei errori, e non ci saranno più
Amami anche quando non me lo merito
Guardami, come quando mi vuoi bene
Anche adesso che non sei orgoglioso di me
Non mandarmi via
e non andartene neppure tu
Rimani qui, senza sgridarmi
Pensa che posso farcela e ce la farò
Pensa che sono buono e lo sarò
So che ti fidi poco delle promesse
e io non te ne faccio
So che quello che vuoi è che io capisca
questo conta, che io capisca
e che tu mi perdoni
Eccoti, finalmente sei qui, mi prendi tra le braccia
Tienimi così, e dimmelo
dimmi che mai, mai smetterai di volermi bene
(diritti riservati, copyright Giusi Quarenghi - Topipittori)



I bambini hanno ascoltato in un silenzio assoluto, davvero religioso. Fiorella, la mia collega, era senza parole e commossa quanto me. E so, ne ho certezza, che lo stessa commozione è giunta fino ad alcuni genitori.
Scrivevo solo poche settimane fa "[...] la letteratura, o almeno, questa letteratura, non ha bisogno di aggettivi: è Parola che si fa parole, e proprio attraverso le parole di un uomo che invoca il Padre (o di un bambino che parla al proprio padre, alla propria madre) ritroviamo quel'intimità, quella confidenza che dovrebbe essere propria della preghiera, e che permette di porre all'Altro le domande di senso che mai smettiamo di porci."

Una lettura per " [...] chi è qui e prova a camminare sulla terra" (dalla quarta di copertina). 
 C'è forse qualcuno che non si riconosca in questa descrizione?